LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Seconda sezione civile Composta dagli Ill.mi signori magistrati: Felice Manna - Presidente; Ubaldo Bellini - Consigliere; Aldo Carrato - Consigliere; Chiara Besso Marcheis - Consigliere; Stefano Oliva - Consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 2012-2016 proposto da: Tata Italia S.p.a., in persona dell'amministratore unico legale rappresentante p.t. Giuseppe Tatarella, rappresentata e difesa dall'avvocato Felice Eugenio Lorusso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questo, in Roma, via della Scrofa n. 64 - ricorrente - contro Comune di Bari, in persona del sindaco pro tempore Antonio Decaro, rappresentato e difeso dagli avvocati Biancalaura Capruzzi e Rosaria Basile dell'Avvocatura comunale, ed elettivamente domiciliato, presso lo studio dell'avv. Fabio Caiaffa, in Roma, via Nizza n. 53 - controricorrente - avverso la sentenza n. 2689/2015 del Tribunale di Bari, pubblicata il 12 giugno 2015; Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2019 dal consigliere dott. Ubaldo Bellini. Fatti di causa Con ricorso ex art. 22 della legge n. 689/1981, la Tata Italia S.p.a., titolare di un'autorizzazione amministrativa per la vendita al minuto di generi di tipo non alimentare nella zona industriale di Bari, impugnava davanti al giudice di pace di Bari l'ordinanza ingiunzione n. 441/2011 del 25 novembre 2011, emessa dal Corpo di Polizia municipale del Comune di Bari, per l'infrazione contestata con il verbale di accertamento del 6 maggio 2009 di violazione dell'obbligo di chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali. Riteneva la ricorrente che nelle localita' turistiche e nelle citta' d'arte, quale la citta' di Bari, dovesse essere riconosciuta agli esercizi commerciali la piu' ampia autonomia circa la facolta' di derogare all'obbligo di chiusura festiva, specie in virtu' della previsione di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 114/1998. Si costituiva in giudizio il Comune di Bari chiedendo il rigetto dell'opposizione atteso che il provvedimento sanzionatorio era stato emesso ai sensi della legge regionale n. 5/2008, integrativa della legge regionale n. 11/2003 (art. 18). Con sentenza n. 928/2013 del 28 marzo 2013 il giudice di pace di Bari rigettava l'opposizione, rilevando che nel giudizio promosso davanti al TAR Puglia, conclusosi con la sentenza n. 2654/2008, la Tata aveva impugnato l'ordinanza del sindaco relativa alla «calendarizzazione» delle deroghe all'obbligo di chiusura domenicale e festiva per l'anno 2008, di tal che la pronuncia del giudice amministrativo era inconferente in quanto l'illecito in esame si riferiva al 2009. Avverso detta sentenza proponeva appello la Tata Italia S.p.a. chiedendo la riforma della sentenza di primo grado. Sottolineava che il decreto-legge n. 98/2011 aveva introdotto la generale ed assoluta liberta' per gli esercizi commerciali di qualunque tipologia di stabilire liberamente i giorni e gli orari di apertura e chiusura; che la sentenza del Consiglio di Stato n. 1179/2012 aveva confermato la sentenza del TAR n. 2654/2008; che pendevano dinanzi al TAR Puglia i giudizi con i quali la Tata aveva impugnato le ordinanze sindacali di individuazione delle deroghe all'obbligo di chiusura domenicale e festiva anche per gli anni 2009-2010-2011 (per cui chiedeva anche la sospensione del giudizio in attesa della definizione quanto meno del giudizio innanzi al TAR relativo all'anno 2009); ribadiva l'incostituzionalita' della normativa regionale che, vietando l'apertura dei negozi anche nei giorni festivi, recava ostacolo alla liberta' di impresa e di concorrenza. Si costituiva il Comune di Bari, deducendo la legittimita' del provvedimento sanzionatorio. Con sentenza n. 2689/2015, depositata in data 12 giugno 2015, il Tribunale di Bari rigettava l'appello, ritenendo di non sospendere il giudizio in quanto la sentenza del Consiglio di Stato n. 1179/2012 aveva dichiarato l'illegittimita' delle ordinanze del Sindaco emesse in epoca precedente all'entrata in vigore della legge regionale n. 5/2008, integrativa della legge regionale n. 11/2003, sulla cui base era stata emessa l'ordinanza sindacale n. 1142/2008, presupposta dall'ordinanza ingiunzione in oggetto. Sottolineava che la legittimita' dell'ordinanza sindacale che disciplina la calendarizzazione delle aperture domenicali dopo l'entrata in vigore della legge regionale n. 5/2008 era questione affrontata dal TAR Puglia con sentenza n. 1348/2009. Specificava che la legge regionale n. 5/2008 aveva modificato l'art. 18 della legge regionale n. 11/2003, prevedendo per i comuni a economia turistica la deroga all'obbligo di chiusura domenicale nel periodo maggio-settembre e la calendarizzazione per gli altri mesi. Nella fattispecie la Tata aveva violato l'obbligo di chiusura, avendo stabilito di aprire l'esercizio commerciale in una domenica di aprile in cui vigeva l'obbligo di chiusura. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la Tata Italia S.p.a. sulla base di tre motivi; resiste il Comune di Bari con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1 - Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, «In relazione all'art. 360, n. 3 del codice di procedura civile, [la] violazione ed errata applicazione delle norme di diritto e in particolare dell'art. 295 del codice di procedura civile del decreto legislativo n. 150/2011. Sulla mancata sospensione del giudizio di appello in attesa della definizione del giudizio innanzi al TAR Puglia, proposto per l'annullamento dell'ordinanza sindacale di individuazione delle deroghe all'obbligo di chiusura domenicale e festiva per l'anno 2009». Osserva la societa' ricorrente che dalla definizione del giudizio innanzi al giudice amministrativo dipende la decisione della causa relativa all'accertamento della legittimita' dell'ordinanza ingiunzione. 1.1. - Il motivo non e' fondato. 1.2. - Costituisce principio consolidato in seno alla giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui per la sospensione necessaria del processo ex art. 295 del codice di procedura civile non e' sufficiente che tra due liti sussista una mera pregiudizialita' logica, ma e' necessario un rapporto di pregiudizialita' giuridica, che ricorre unicamente quando la definizione di una controversia costituisca l'indispensabile antecedente logico giuridico dell'altra il cui accertamento debba avvenire con efficacia di giudicato. Corollario di tale impostazione, in tema di sanzioni conseguenti alla violazione di atti amministrativi, e' che non dev'essere sospeso il giudizio di opposizione alle prime in relazione alla pendenza davanti al giudice amministrativo dell'impugnazione dell'atto presupposto, allorquando il vizio asseritamente invalidante dell'ordinanza ingiunzione concerna tale atto del suo procedimento formativo, ben potendo il giudice dell'opposizione decidere con efficacia di giudicato anche le questioni di legittimita' dell'atto presupposto, ovvero disapplicarlo (ex plurimis, Cassazione n. 8796 del 2018; Cassazione n. 2040 del 2018; Cassazione n. 12901 del 2013; Cassazione n. 9588 del 2012). 2. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, «In relazione all'art. 360, n. 3 del codice di procedura civile, [la] violazione delle norme sul giudicato sostanziale e in particolare dell'art. 2902 del codice civile [recte: 2909 del codice civile]. Sul contenuto della sentenza del TAR Puglia-Bari 2654/2008, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato 1179/2012. Contrasto insanabile tra le argomentazioni complessive adottate. Contraddittorieta' del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione». Secondo la ricorrente con la citata sentenza il Consiglio di Stato affermava il principio per cui nei comuni a economia prevalentemente turistica e nelle citta' d'arte gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva, facendo riferimento alla disciplina di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 114/1998. Inoltre, il Consiglio di Stato aveva precisato, con efficacia di giudicato, che ogni calendarizzazione delle deroghe all'obbligo della chiusura domenicale e festiva, con riferimento agli esercizi commerciali ubicati nelle localita' turistiche, dovesse ritenersi illegittima, comprimendo una facolta' riconosciuta in maniera piena dalla legge. 2.1. - Il motivo non e' fondato. 2.2. - Il Tribunale ha dato conto dell'esistenza della pronunzia del Consiglio di Stato ritenendola non pertinente al caso di specie perche' relativa ad ordinanza sindacale emessa in regime anteriore alla legge regionale n. 5/2008, che funge da presupposto alle nuove ordinanze sindacali poi, non a caso, oggetto di distinta pretesa di annullamento davanti al giudice amministrativo. A fronte di tali rilievi, la ricorrente non ha fornito elementi specifici di diverso significato; e cio' quantunque l'eccezione di giudicato esterno postuli, ove formulata dalla parte, che quest'ultima, giusta l'art. 2697, comma 2, del codice civile non si limiti alla mera allegazione della decisione da cui intende trarre giovamento, ma deduca, in modo specifico ed autosufficiente, che la materia del contendere oggetto del processo in corso sia coperta, in tutto o in parte, dal giudicato formatosi in altro, precedente, giudizio (Cassazione n. 8796 del 2018, cit.; cfr. Cassazione n. 13475 del 2014). 3. - Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, «In relazione all'art. 360, n. 5 del codice di procedura civile, [l']omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti. Mancata considerazione dei profili di illegittimita' costituzionale della legge regionale n. 11/2003, sollevati dalla Tata nei due gradi di giudizio», lamentando di avere sollevato, anche nel giudizio di appello, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, commi 4, 5 e 6 della legge regionale Puglia n. 11/2003, come modificata dalla legge regionale Puglia n. 5/2008, per contrasto con gli articoli 3, 41 e 117, comma 2, lettere e) e m) della Costituzione; rispetto alla quale il giudice di merito non aveva preso posizione. 3.1. - Il motivo e' inammissibile. 3.2. - Non puo' essere evocato il paradigma di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 dell'art. 360 del codice di procedura civile data la operativita' del principio della c.d. «doppia conforme», che (ai sensi dell'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83/2012, conv. in legge n. 134 del 2012) vige per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore (il 12 agosto 2012) della legge di conversione del detto decreto-legge [nella specie, citazione in appello notificata in data 30 ottobre 2013]. Si applica infatti, ratione temporis, il dettato dell'art. 348-ter, u.c., del codice di procedura civile secondo cui «La disposizione di cui al quarto comma [per la quale il ricorso per cassazione puo' essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2),3) e 4) del primo comma dell'art. 360] si applica, fuori dei casi di cui all'art. 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado». 4. - Va tuttavia rilevato che la mancata risposta del giudice di appello alla richiesta della parte di sollevare una questione di legittimita' costituzionale non potrebbe comunque essere configurata in termini di mero «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti», giacche' (nel sistema articolato dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953, secondo cui «Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorita' giurisdizionale una delle parti, o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimita' costituzionale mediante apposita istanza»), da un lato, il termine «sollevare» deve essere inteso quale onere delle parti (e del PM) di sottoporre al giudice del processo il dubbio di costituzionalita', affinche' sia il giudice (d'ufficio ovvero compulsato) a valutarne la rilevanza e la non manifesta infondatezza e quindi a proporre la questione di legittimita' costituzionale, in via incidentale. E, dall'altro lato, come sia del del tutto improprio riferire al paradigma di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, del codice di procedura civile la richiesta della parte al giudice di proporre il sindacato di costituzionalita', in qualunque stato o grado del giudizio a qua. 4.1. - In effetti il Tribunale d'appello aveva richiamato la pronuncia (sent. n. 1348/2009) con cui il TAR Puglia aveva ritenuto la legittimita' costituzionale della legge regionale n. 5/2008, in quanto a suo dire riconducibile alla competenza legislativa esclusiva e residuale delle regioni, ai sensi del novellato art. 117, comma 4, della Costituzione, in materia di «commercio», nella quale e' compresa anche la disciplina delle aperture o chiusure domenicali degli esercizi commerciali. Tale materia, secondo il TAR era stata legittimamente disciplinata dalla Regione Puglia con l'art. 18 della legge regionale n. 11/2003 e successive modificazioni, non sussistendo alcuna ingiustificata limitazione rispetto ai principi costituzionali e comunitari volti alla «tutela della concorrenza» (TAR Puglia n. 3619/2010). 4.2. - Tuttavia, dopo la decisone di secondo grado, e' sopravvenuta la sentenza con cui la Corte costituzionale ha viceversa ritenuto fondata la questione di legittimita' costituzionale della successiva legge reg. Puglia n. 24/2015 (Codice del commercio), in particolare, tra gli altri, degli articoli 9, comma 4, e 13, comma 7, lettera c, che prevedono interventi regolativi degli «orari di apertura e di chiusura» degli esercizi commerciali, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di «tutela della concorrenza» (Corte costituzionale n. 239 del 2016). Il giudice delle leggi ha sottolineato come il legislatore statale fosse gia' intervenuto per assicurare la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, dapprima in via sperimentale e poi a regime, con l'art. 3, comma 1, lettera d-bis), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248. Con cio' svolgendosi attualmente detta attivita' - in seguito alla modifica disposta dall'art. 31, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, le attivita' commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e quelle di somministrazione di alimenti e bevande - «senza i seguenti limiti e prescrizioni» concernenti, tra l'altro, «il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio». Rammentato, dunque, di avere giudicato non fondate le questioni di costituzionalita' sollevate, in via principale, da alcune regioni ricorrenti, dovendosi inquadrare l'art. 31, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 nella materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato (Corte costituzionale n. 299 del 2012), nonche' di avere dichiarato l'illegittimita' costituzionale di diverse norme regionali con le quali si erano regolati gli orari degli esercizi commerciali, in quanto contrastanti con l'espresso divieto di limiti e prescrizioni in materia, contenuto nella citata normativa statale (Corte costituzionale n. 27 e n. 65 del 2013; e n. 104 del 2014), la Corte costituzionale ha, conseguenzialmente, ritenuto che analogo contrasto dovesse essere ravvisato, con riferimento alle impugnate disposizioni della legge Regione Puglia. Pertanto - pur precisando che la totale liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali non costituisca una soluzione imposta dalla Costituzione, sicche' lo Stato possa rivederla in tutto o in parte, temperarla, o mitigarla - la Corte ha ritenuto che, nondimeno, nel vigore del divieto di imporre limiti e prescrizioni sugli orari, stabilito dallo Stato nell'esercizio della sua competenza esclusiva a tutela della concorrenza, la disciplina regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima sotto il profilo della violazione del riparto di competenze. 5. - Riguardando il presente dubbio di incostituzionalita' le precedenti norme, poste a base dell'accertamento della contestata violazione, in data 6 maggio 2009, dell'obbligo di chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali, emesso ai sensi dell'art. 18 della legge regionale n. 11/2003, come integrato e modificato dall'art. 12 della legge regionale n. 5/2008, ne consegue che, non ritenendosi praticabile nella specie una interpretazione costituzionalmente orientata di dette norme, che non si traduca nella loro sostanziale e intera disapplicazione, in ragione della non manifesta infondatezza della questione (alla luce ed in ragione delle affermazioni delle citate pronunce del giudice delle leggi) si appalesa necessario sospendere il giudizio a quo e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, quanto alla sussistenza della eccepita violazione del riparto di competenze tra stato e regioni nella materia de qua. D'altro lato, va richiamato il principio secondo cui la regola tempus regit actum, riguardante la successione delle leggi nel tempo, non e' riferibile alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale, in quanto questa non e' una forma di abrogazione, ma una conseguenza dell'invalidita' della legge, che ne comporta l'efficacia retroattiva, nel senso che investe anche le fattispecie anteriori alla pronuncia di incostituzionalita', con i limiti derivanti dal coordinamento tra il principio enunciato dagli articoli 136 della Costituzione e 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e le regole che disciplinano il definitivo consolidamento dei rapporti giuridici e il graduale formarsi del giudicato e delle preclusioni nell'ambito del processo (Cassazione n. 6692 del 2006; Cassazione n. 5833 del 2006). Atteso che il provvedimento sanzionatorio era stato emesso dal Comune controricorrente sensi della legge regionale n. 5/2008, integrativa dell'art. 18 della legge regionale n. 11/2003, nella specie il ricorso per cassazione andrebbe rigettato in ragione del mancato accoglimento di tutti i motivi di ricorso; ravvisandosi da cio' la rilevanza della questione nel giudizio a quo.